ESCLUSIVO! LA RAI INDAGA SU NICK CARTER!
La ricerca, intitolata “Ragazzi ed adulti di fronte a ‘Gulp, fumetti in TV’”, prese in analisi una puntata di “Gulp!” che conteneva un episodio del Signor Rossi di Bruno Bozzetto (“Il Signor Rossi va in crociera”), personaggio che apparve 6 volte nel programma, e uno di Nick Carter di Bonvi e De Maria (“Il mistero dell’Orient Express”), che invece apparve 11 volte in “Gulp!”, divenendone la colonna portante. Nonostante i risultati positivi, il programma dei fumetti in TV venne messo da parte dalla RAI per 5 anni perché nel periodo dell’austerity il budget aziendale venne in gran parte impegnato per la realizzazione dello sceneggiato “Mosè” con Burt Lancaster.
I fumetti in TV tornarono solo nel 1977, con il titolo di “Supergulp!” e proseguirono con successo fino al 1981.
La ricerca del Servizio Opinioni Rai finì così nel dimenticatoio.
Il nostro Claudio Varetto, all’inizio degli anni 2000, ne ritrovò una copia nelle soffitte di Guido De Maria mentre stava curando il sito internet su Nick Carter e ne trascrisse alcuni passaggi prima di restituirla al proprietario. Poi se ne sono perse nuovamente le tracce. In esclusiva riportiamo di seguito un brano da quelle trascrizioni, che parla in particolare del taglio interpretativo del personaggio di Nick Carter.
(...)
Carter non è uno di noi ma uno
di “loro” cioè un eroe del fumetto. Non è peraltro neppure uno di
"loro quale noi vorremmo essere" perché le sue caratteristiche
fisiche e comportamentali non lo elevano di certo a ideale dell'Io.
E qui ritornano gli elementi
comuni a Rossi, giocati a volte in modo palese, altre volte con sottigliezza
veramente elegante; tutto il racconto fa uso di frasi, gags, elementi
metaforici e reminiscenze proprie di tutta la letteratura
popolaresco-avventurosa poliziesca da Ponson du Terrail a Ellery Queen passando
naturalmente per Conan Doyle e Wallace. È un accurato collage di mille
racconti "divorati” negli anni giovani.
L'agente segreto X tanto
"segreto" da non aver volto, l’abito da Sherlock Holmes di Carter, le
sue false modestie alla Poirot, il prelevamento nella notte alla Rocambole,
Patsy il forte e corto di cervello ombra di tutti i servi fedeli, epigone di
Porthos ed in fondo un poco portatore della stolidità cui a nessuno era secondo
Watson, Ten, sentenzioso come tutti gli investigatori cinesi e servizievole
come Dijna di Ellery Queen.
Poi con un gioco di fuochi
d'artificio l'uso di frasi a doppio senso ("arrestare" il
treno nel senso di fermare e imprigionare).
Ed infine il trionfo dell'assurdo mescolato al realistico e al logico-poliziesco con divertita incoscienza (incoscienza perché per un lettore di libri gialli un autore non può mai uscire da canoni del verosimile pena il disprezzo squalificante). Patsy che arresta un treno con le sue forze, travolto e subito illeso come Gatto Silvestro, l'episodio del buco nel pavimento dello scompartimento, "classico" in tutte le storie di fughe e liberazioni, ma qui non solo exornante come nella famosa liberazione del negro (già libero) delle avventure di Huckleberry Finn, ma addirittura irrealizzabile dato che già Carter e i suoi sono nello scompartimento e quindi oltre che inutile, ginnicamente ardua sarebbe l'impresa di uscire dal vagone, aggrapparsi al telaio sottostante, spostarsi sotto lo scompartimento e praticare il foro..., la realizzazione della trincea con tutti i particolari propri ai film sulla prima guerra mondiale, gli alibi "impossibili" del capotreno e del macchinista ("stavo facendo il bagno, ero al cinema con amici") nei quali riecheggiano le "coperture" di Cosa Nostra e dell'onorata società ai suoi adepti per arrivare al botto più spettacolare: Stanislao Molinsky nella sua più bella interpretazione: la locomotiva. Perché ben si stia attenti, non è "dentro" una locomotiva, questo sarebbe troppo semplice, "è" la locomotiva...
Man mano che il gruppo di ricercatori ed intervistatori si andava rivedendo i filmati, per prepararne i questionari, tutto questo ricchissimo materiale affiorava. Era divenuto per noi un piacere ed una gara cogliere di volta in volta l'eco letteraria, l'accostamento felice ed il suggerimento ammiccante.
Veniva quindi logica la domanda:
quanto di tutto questo sarebbe stato colto dal pubblico che avrebbe assistito
alla trasmissione una volta sola, sia pure in una situazione conativa per cui
l'attenzione avrebbe dovuto essere particolarmente vigile? Il che tra l’altro
poteva anche risultare controproducente dato che l'atteggiamento di chi
"esegue un compito e deve fare bella figura" aumenta la vigilanza e
quindi la tendenza a "prender le cose sul serio" a scapito
dell'abbandono all’attenzione fluttuante che permette la messa in sintonia
dello spettatore con i metadiscorsi del creatore.
Testo tratto dalla Ricerca “Ragazzi
ed adulti di fronte a ‘Gulp, fumetti in TV’” realizzata dall’Istituto
“Agostino Gemelli” per lo studio sperimentale di problemi sociali dell'informazione
visiva per conto della RAI - Radiotelevisione Italiana.
Equipe di ricerca: Renato
Sigurtà, Caterina Ceppellini, Fulvio Scaparro, Francesca Trucchi Romano, Dario
Varin; ha collaborato, per il Servizio Opinioni della RAI: Giancarlo Mencucci.
Appunto del Servizio Opinioni
n. 243 - agosto 1974 (Pag. 50-52)
Commenti
Posta un commento