25 anni fa ci lasciava BONVI

Il 10 dicembre del 1995, venticinque anni fa, ci lasciava Franco Bonvicini, meglio noto come Bonvi. Il 2020, anno segnato dalla pandemia, sicuramente avrebbe ispirato fulminanti battute al cartoonist autore degli scenari bellici delle Sturmtruppen o post-atomici delle Cronache del Dopobomba. Proprio in questi giorni Bonvi è tornato in libreria grazie a Rizzoli Lizard con il volume “Incubi di provincia”, di cui abbiamo già scritto in questo blog, ripubblicazione ampliata e aggiornata di un volume del 1981, che raccoglie brevi racconti, con l’introduzione dell’amico Francesco Guccini.
Omaggiamo Bonvi con un bellissimo quadro a lui dedicato realizzato dal pittore marchigiano Mirko Ambrogini, scomparso anche lui pochi mesi fa in questo maledetto 2020 a causa del Covid, intitolato "Lettera" come la canzone che Guccini (che si intravede anche lui ritratto nel dipinto) dedicò all'amico nel 1996, pochi mesi dopo la prematura scomparsa del fumettista.

Di seguito riportiamo il ricordo di un grande fan ed esperto di Bonvi, Claudio Varetto.

IL "MIO" BONVI

Ho sempre avuto una grande ammirazione per Bonvi, un sentimento che è scattato, molto prima di conoscerlo, vedendo il Nick Carter di Bonvi e De Maria in "Gulp! I fumetti in TV" nell'ormai lontano 1972. All'epoca ero un bambino e rimasi folgorato dal tratto inconfondibile del disegnatore, morbido e buffo, con le "mani a penzoloni", davvero unico, del personaggio e dalle sue storie divertenti. Poco dopo mi appassionai al suo Cattivik, allora pubblicato da Alpe, intrigato dalle prime storie quasi mute, un po' alla Willy Coyote, dove il genio del male parlava solo con "Yuk! Yuk!", "Acc...!" e "Prfft!".


Nell'inverno del 1977, incontrai Bonvi per la prima volta a casa del regista Guido De Maria, che avevo conosciuto a Lucca
; ero un ragazzino e rimasi quasi ammutolito davanti a quello che per me era, ed è rimasto, uno dei più bravi fumettisti al mondo. Aveva un'aria severa e occhi azzurri che ti guardavano dentro, uno sguardo che ho ritrovato anni dopo solo in Hugo Pratt.

Ricordo anche l’ultima volta che ho incontrato Bonvi: era un'estate dei primi anni '90, durante lo spettacolo con lo staff di Comix, in Piazza Grande a Modena. Guido De Maria era il grande mattatore della serata, istrionico come sempre si muoveva su e giù dal palco, mentre Bonvi stava seduto in un angolo buio da solo, sulle scalette nel retro del palcoscenico, con un'aria pensierosa. Mi avvicinai per salutarlo.
Non avrei mai immaginato che sarebbe stato per l'ultima volta...
Quando, poco più di un anno dopo, sentii la notizia dell'incidente dai notiziari televisivi quasi non ci credevo!

Nell'arco degli anni ho collezionato tutti i fumetti e i libri di Bonvi che ho avuto l'avventura di trovare. Ma soprattutto nel nuovo millennio ho curato siti, mostre, collane, sono stato tra i promotori del Bonvi Parken a Modena, ho seguito diverse pubblicazioni su Bonvi e le sue Sturmtruppen, soprattutto negli ultimi anni quando, affiancando la figlia Sofia Bonvicini, mi sono occupato anche dei diritti editoriali del grande cartoonist per conto degli eredi, scrivendo i testi della mostra e del catalogo Sturmtruppen 50 e tutti i redazionali delle due edizioni in 40 volumi della Raccolten delle Sturmtruppen, indagando ogni aspetto dell’autore e della sua opera.

VENTICINQUE ANNI FA 

Vorrei ritornare alle circostanze in cui 25 anni fa il grande cartoonist ci ha lasciati.
Bonvi si era ritirato sulle colline imolesi e abitava in un piccolo albergo a Castel Del Rio. Gli era vicino di stanza Magnus, nome d'arte di Roberto Raviola, altro grandissimo autore, allora impegnato a lavorare sul "Texone" per Bonelli.
A Castel Del Rio abitavano e lavoravano i due artisti, facendosi compagnia a vicenda.
Nel 1995 Bonvi aveva anche ridisegnato le Sturmtruppen trasformandole in soldati italiani per l'agenda dell'Esercito Italiano. Il “geometro” Franco Bonvicini, pur disegnando la satira antimilitare più famosa nel mondo, aveva in realtà una grande passione per tutto ciò che era militare: come compenso per la sua opera chiese allo Stato Maggiore la terza stelletta da ufficiale (da tenente diventò capitano) che gli venne consegnata durante una cerimonia ufficiale all'interno dell'Accademia Militare di Modena, insieme a un moschetto modello 91 in una custodia di legno, con tanto di dedica del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Questo moschetto Bonvi lo portava sempre con sé in macchina e spesso si faceva fermare apposta dai carabinieri per potergli dire: "Ho un fucile nel baule." Si dice che allarmati andassero a controllare subito e, letta la dedica, si mettessero sugli attenti.
Quindici giorni prima della sua scomparsa Bonvi decise di regalare quel moschetto, a lui tanto caro, al suo amico Guccini.
Negli stessi giorni, Bonvi si recò anche a casa dell'amico De Maria e gli affidò tutte le pellicole delle storie di Nick Carter (quelle pubblicate sul Corriere dei Ragazzi), dicendogli, quando le avrebbe pubblicate, di dare la sua parte di diritti ai suoi figli (!). Ma la cosa che impressionò più De Maria fu quando Bonvi mise su un disco di Edith Piaff, dicendo: "Quando si sciolse la Legione Straniera i legionari marciarono per l'ultima volta lungo le strade di Algeri non al suono del loro inno 'Le Képi Blanc' bensì sulle note di questa canzone 'Non, je ne regrette rien', non rimpiango nulla." E mentre la voce pregnante di Edith Piaff cantava la canzone, Bonvi, quasi in trance, cominciò a marciare come un legionario e a tradurre il testo della canzone. Sembrava quasi un suo testamento personale...
E le stesse note di "Non, je ne regrette rien", accompagneranno il funerale di Bonvi pochi giorni dopo, proprio su suggerimento dell’amico De Maria, mentre su Bologna scendeva una grande nevicata. 


Ma veniamo all'incidente.
Magnus, purtroppo, si ammalò di tumore. Bonvi, all’insaputa dell’amico, preparò delle cartelle contenenti delle riproduzioni autografate di un suo personaggio recente, nato sulle pagine del settimanale Comix, "Blob" (uno spin-off delle Sturmtruppen), e decise di partecipare alla trasmissione dell'amico Red Ronnie, "Roxy Bar", per vendere all'asta quei disegni e raccogliere così denaro per le cure di Magnus.

Allo studio televisivo Bonvi non arrivò mai. Si perse nella notte a meno di un chilometro e, uscendo dal bar dove si era fermato a chiedere informazioni, venne travolto da un automobilista ubriaco (ironia della sorte: proprio il Bonvi, che non disdegnava l'alcool).

Così se ne andò Bonvi, seguito dopo un paio di mesi dall'amico Magnus, stroncato dalla malattia.
Sicuramente nel paradiso dei fumettisti se la passeranno bene, insieme con altri grandi come Pratt e Jacovitti, scomparsi negli stessi anni, ma per tutti gli appassionati di fumetti è rimasto il ricordo di quello che abbiamo avuto e di quanto abbiamo perduto.

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